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Santi del 19 Novembre

Il mio Santo > I Santi di Novembre

*Sant'Abdia - Profeta (19 novembre)

Quarto dei profeti minori visse probabilmente dopo la conquista di Gerusalemme avvenuta intorno al 587-586 a. C. Nel libro più breve dell’Antico Testamento, di cui è l’autore, cerca di consolare Gerusalemme con la speranza di una rapida restaurazione.
Come i profeti d’Israele anche lui conferma l’esistenza di un solo Dio buono e giusto, che punisce i peccatori e vendica le ingiustizie fatte al suo popolo. Per la sua visione assai positiva nei confronti d’Israele, gli esegeti lo considerano l’annunciatore del Messia.

Etimologia: Abdia = servo di Jahvè, dall'ebraico
Martirologio Romano: Commemorazione di Sant’Abdia, profeta, che, dopo l’esilio del popolo d’Israele, preannunciò l’ira del Signore contro le genti nemiche.
Sul lato del campanile del duomo di Firenze una statua di Nanni di Bartolo rappresenta il profeta Abdia: è un giovane robusto a capo scoperto, con un ricco mantello e tra le mani il “volumen”, cioè il libro che contiene la sua “visione” o profezia lanciata contro gli abitanti dell'Idumea, gli Edomiti,
un popolo nomade della Palestina meridionale, discendenti da Esaù, quindi i più vicini per parentela agli Ebrei.
Gli antichi Martirologi latini non facevano menzione di Abdia, che compare tuttavia nel Martirologio Romano e nel Sinassario Costantinopolitano alla data del 19 novembre.
Le molte raffigurazioni di Abdia, quarto dei profeti minori, autore del libro più breve del Vecchio Testamento, testimoniano la larga devozione verso questo santo, che emerge dalla notte dei tempi antichi come un bagliore di vivida luce. 'Profeta piccolo per il numero dei versetti, non delle idee', dice di lui San Girolamo.
I ventun versetti del suo libro contengono anzitutto una dura minaccia contro gli Edomiti. Gli antichi rancori, mai sopiti dall'epoca della ingegnosa frode di Giacobbe ai danni del fratello Esaù, erano esplosi durante e dopo la distruzione di Gerusalemme, avvenuta nel 587 a.C. per opera del babilonese Nabucodonosor.
In quella tristissima ora per il popolo della Giudea, gli Edomiti diedero man forte agli invasori, partecipando attivamente al saccheggio della città e alla spietata caccia ai fuggiaschi. Mentre a consolare i deportati in Mesopotamia, costretti al lavoro coatto nel grande canale tra Babel e Nippur, c'era il grande profeta Ezechiele, tra i rimasti ci fu il giovane Abdia, che proferì una dura minaccia contro gli Edomiti insieme all'annuncio consolatorio della restaurazione di Gerusalemme, destinata ad accogliere il Messia.
Abdia sviluppa questi due temi con un canto lirico stupendo. Così si rivolge al confinante popolo idumeo: 'Ecco, io t'ho fatto piccolo fra le nazioni, tu sei molto spregevole.
La superbia del tuo cuore ti ha ingannato... Per le uccisioni, per le ingiustizie commesse contro il tuo fratello Giacobbe, tu sarai coperto di confusione e perirai per sempre... La casa di Giacobbe sarà di fuoco e la casa di Esaù sarà di paglia, verrà bruciata e divorata'.  
Il profeta segue una linea religiosa tradizionale, il cui tema costante è l'affermazione della unicità di Dio Javhè, padrone assoluto di tutte le cose e giudice supremo, che punisce i peccatori e vendica le offese fatte al suo popolo.
In questa conclusione ottimistica della “visione” di Abdia gli esegeti vedono il preannunzio di Cristo e della Chiesa.

(Autore: Piero Bargellini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Abdia, pregate per noi.

*Sant'Anastasio II - 50° Papa (19 novembre)

m. 19 novembre 498
(Papa dal 24/11/496 al 19/11/498)
Romano di origine, combatté l'Arianesimo e ottenne la conversione di Clodoveo, re dei Franchi, che venne battezzato la notte di Natale del 498 o 499.
Etimologia: Anastasio = risorto, dal greco
Non si conoscono le origini della famiglia, probabilmente greca (nda: anastasìs significa resurrezione in greco) stabilitasi a Roma.
Anastasio II fu consacrato Papa il 24 novembre del 496.
Così come non risultano molte altre notizie sul suo pontificato, del resto di breve durata se non quelle nefaste per aver tentato una sorta di riconciliazione con gli eretici monofistici con la riammissione alle sue funzioni il diacono di Tessalonico Fotino, fervido seguace dell'idea monofisita.
La tradizione volle che questo Papa fosse così impopolare, diversamente dal suo predecessore che fosse stato colpito dalla "maledizione divina" "nutu divinu percussus est."
Lo stesso Dante Alighieri, molti secoli dopo, finì per collocarlo nel canto XI, 6-9 dell' Inferno della Divina Commedia: "ci racostammo, in dietro, ad un coperchio
d'un grand'avello, ov'io vidi una scritta che dice: "Anastasio Papa guardo,
lo qual trasse Fotin della via dritta". Sempre secondo la tradizione la sua morte sarebbe stata simile a quella di Ario il quale, mentre era intento alle sue funzioni corporali e fisiologiche perse tutte le viscere che si sparsero sul terreno.
Questo sarebbe accaduto il 19 novembre del 498.
Le sue spoglie furono sepolte sul sagrato di San Pietro ma il suo nome non comparì mai né sul martirologio né sul calendario universale.

(Autore: Franco Gonzato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Anastasio II, pregate per noi.

*Sant'Attone di Tordino - Abate (19 novembre)

Il monastero benedettino di San Niccolò in Tordino (Teramo) fu fondato nel 1004 e posto alle dipendenze di Montecassino; Attone ne fu il primo abate o priore.
Un tempo, nei giorni di Pentecoste, i fedeli si recavano in pellegrinaggio alla sua tomba e bevevano l'acqua che stillava dal soffitto sopra il sarcofago.
Il sepolcro e le reliquie di Attone sono oggi scomparsi, e se ne celebra solo la festa il 19 novembre nella cattedrale di Teramo e nella chiesa parrocchiale (già abbaziale) di Sant’Atto, unita dal 1477 col Capitolo del Duomo.

(Autore: Alfonso M. Zimmermann – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Attone di Tordino, pregate per noi.

*San Barlaam di Antiochia - Martire (19 novembre)

Martirologio Romano: Ad Antiochia in Siria, san Barlaam, martire, che, contadino e analfabeta, ma forte della sapienza di Cristo, costretto a tenere in mano carboni ardenti e incenso da offrire agli dei, resistette con fede invitta e, per la ferocia del tiranno, ottenne la palma del martirio.
Il martirio di Barlaam fu celebrato in tre omelie, una di Basilio, una del Crisostomo e una di Severo di Antiochia nota solo per la sua traduzione siriaca.
Esiste anche una passio greca, non completamente attendibile nei particolari ma che rispecchia una tradizione già diffusa agli inizi del sec. VI. Un accenno al singolare martirio di Barlaam si può leggere anche in Eusebio.
Secondo le fonti Barlaam dopo aver sopportato varie torture fu obbligato a protendere la mano sopra un altare tenendo nel palmo incenso e carboni accesi.
Qualunque movimento egli avesse fatto per diminuire le sue sofferenze poteva essere interpretato per un gesto cultuale. Ma Barlaam lasciò che la mano bruciasse. Basilio e il Crisostomo accennano solo al supplizio della mano; Severo fa sopportare al martire ben altri tormenti.
Si ha notizia di una chiesa a lui dedicata in Antiochia. Questa chiesa è ricordata da Malalas a proposito della morte di Stefano (cf. H. Delehaye, op. cit. in bibl., p. 135).
Il Chronicon Edessenum cita una chiesa intitolata a Barlaam in Edessa nel 411, la stessa ricordata per il vescovo Andrea.
Il Martirologio Romano, con il Sinassario Costantinopolitano pone la festa di Barlaam al 19 novembre, il Geronimiano al 18, i menei greci al 16, il Calendario palestino-georgiano al 9 dello stesso mese.

(Autore: Agostino Amore - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Barlaam di Antiochia, pregate per noi.

*Beato Bertoldo - Abate di Weingarten (19 novembre)
sec. XIII

Il Beato Bertoldo di Heimburg, governò il monastero di Weingarter, dove si insediarono dei monaci provenienti dall'abbazia di Altomünster.
Non sappiamo la sua data di nascita, sappiamo però che il suo governo dell’abbazia durò trentadue anni, tra il 1200 e 1232.
All’epoca i monaci si prodigarono, tra le altre cose, nella miniatura di manoscritti. Il loro lavoro più famoso è il “Messale di Bertoldo” del 1217, ora nella Biblioteca “Pierpont Morgan” a New York.
Fu un devoto fervente della Santissima Vergine, come dimostrano le sue prescrizioni speciali per festeggiare il sabato, a lei dedicato.
Di lui ci rimane una sola immagine, un quadro ad olio del XVII secolo, che si trova nel monastero, dove viene raffigurato come beato.
Morì il 19 novembre 1232.
Il menologio benedettino lo ricorda il 19 novembre.

(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Bertoldo, pregate per noi.

*Beati Eliseo Garcia e Alessandro Planas Sauri - Salesiani, Martiri (19 novembre)
Scheda del Gruppo a cui appartiene
" Beati Martiri Spagnoli Salesiani di Valencia" Beatificati nel 2001 - 22 settembre
"Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia" Beatificati nel 2001 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
† Garraf, Spagna, 19 novembre 1936
Martirologio Romano: Nel villaggio di Garraf nel territorio di Valencia in Spagna, Beati martiri Eliseo García, religioso della Società Salesiana, e Alessandro Planas Saurí, che, durante la persecuzione contro la fede, furono ritenuti degni di essere associati al sacrificio salvifico di Cristo.
Eliseo Garcia Garcia
El Manzano, Spagna, 25 agosto 1907 - Garraf, Spagna, 19 novembre 1936
Nacque a El Manzano (Salamanca) il 25 agosto 1907. Passò a Campello (Alicante), dove durante le persecuzioni nel periodo della Repubblica ebbe a sopportare non pochi disagi per il suo rapporto con i religiosi.
Nonostante questo fece la sua professione come salesiano coadiutore In Gerona nel 1932, e vi rimase per un certo tempo prima di trasferirsi a Sant Vicent dels Horts (Barcellona).
Quando scoppiò la guerra, non volle abbandonare i ragazzi che vi abitavano, finché non vennero espulsi. Qualche giorno dopo ritornò a Sant Vicent per visitare il Sig. Planas; i miliziani, che lo
stavano pedinando, li fermarono tutti e due. Il loro passato da religiosi fu ragione sufficiente perché fossero fucilati il 19 novembre.
Alejandro Planas Sauri
Matarò, Spagna, 31 ottobre 1878 - Garraf, Spagna, 19 novembre 1936
Nato a Mataro (Barcellona) nel 1875, non poté divenire salesiano per un grave impedimento: era sordo (e il "Sord", in catalano, diventò un nomignolo affettuoso con cui era conosciuto).
I salesiani furono la sua famiglia.
Passò quaranta anni nella casa di Sant Vicent dels Horts (Barcellona), dove era molto apprezzato e rispettato.
Abile scultore, possedeva una cultura e unavita religiosamolto profonde. Pensò che rimanendo nel collegio, dopo l'espulsione dei ragazzi e dei salesiani, non gli sarebbe potuto capitare niente, ma la visita che gli fece Don Eliseo Garda fu il pretesto per eliminarlo.

(Fonte: www.sdb.org)
Giaculatoria - Beati Eliseo Garcia Garcia e Alessandro Planas Sauri, pregate per noi.

*Sant'Eudone di St-Chaffre - Abate (19 novembre)
† 19 novembre VI sec. (?)

Martirologio Romano: Nella regione del Vélay in Francia, sant’Eudone, abate.
Le notizie concernenti questo santo provengono da fonti assai dubbie: la Cronaca e il Cartolario del monastero di St-Chaffre e le Vitae di San Teofredo e di san Meneleo, abate di Menat, nel paese di Riom.
Secondo questi documenti, grazie alla munificenza del duca di Aquitania, San Calmilio, Eudone fondò presso Le Puy un monastero dedicato a san Pietro, alla cui guida gli successe un suo nipote, Teofredo.
Questa fondazione, secondo la Cronaca, va collocata verso l'anno 600. Il Mabillon e il Ménard accettano al più l'inizio del secolo VIII. Morì un 19 novembre.
L'abbazia ricevette più tardi il nome di Saint Chaffre au Monastier. Vi si segnala nell'840 la presenza dei corpi di due Santi. Ma, mentre nell'876 Eudone non aveva che il titolo di confessore, nel 955 gli si diede quello di primo abate.
Nel 957 una chiesa era dedicata a San Teofredo e San Eudone nella località attuale di Pont-de-Barret e il culto dei due santi è attestato anche in Lombardia.
Eudone aveva la sua festa a St-Chaffre il 20 novembre e più tardi anche il 22 giugno. Il Santo è infine menzionato in un Breviario di Lérins del XIV secolo.
Oggi ha la sua memoria nel Proprio della diocesi di Le Puy ed il suo capo è ancora conservato a St-Chaffre.

(Autore: Rombaut Van Doren - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Eudone di St-Chaffre, pregate per noi.

*San Fausto di Alessandria - Diacono e Martire (19 novembre)
Etimologia: Fausto = propizio, favorevole, dal latino
Emblema: Palma

Particolari della sua vita si trovano in alcuni capitoli della Storia Ecclesiastica di Eusebio. Fu diacono della Chiesa alessandrina dalla metà del sec. III fino agli inizi del sec. IV.
Durante la persecuzione di Valeriano, giudicato dal prefetto Emiliano, insieme col vescovo Dionigi e con i diaconi Eusebio e Cheremone, subì l'esilio nella regione di Kefro in Libia col proprio vescovo e con Caio, Pietro e Paolo; poi, mentre Dionigi veniva trasferito altrove, egli ritornò in Egitto, ove fu costretto a vita randagia insieme con i diaconi Eusebio e Cheremone.
Eusebio ha fatto di lui questo elogio: "Si è distinto nel confessare la fede ed è stato poi riservato sino alla persecuzione succeduta al nostro tempo (= Diocleziano); vecchio e pieno di giorni ha consumato nell'età nostra il martirio per decapitazione" (VII, 11, 26).
Il Martirologio Romano lo commemora al 19 novembre, tuttavia il suo nome ricorre altre volte: al 3 ottobre, con Caio, Pietro e Paolo; al 4 con Caio, Eusebio, Cheremone e Lucio.
Si tratta sempre del diacono ricordato il 19 novembre, poiché i suoi compagni non sono altri che i diaconi alessandrini, menzionati da Eusebio, perseguitati insieme con il loro vescovo Dionigi, durante l'impero di Valeriano.
Più difficile si presenta un altro problema: il Martirologio Romano, che desume la notizia da Eusebio, (parla di un "prete" Fausto 26 novembre), martire ad Alessandria, insieme con Didio,
Ammonio ed altri, sotto l'impero di Massimino Daia e Calerio.
Questo "prete" Fausto vissuto sotto il vescovo Pietro, secondo il Tillemont e l'Allard potrebbe essere identificato con il diacono, ma è più verosimile ammettere che si tratti di due martiri distinti.
L'ultima persecuzione, infatti, ebbe in Egitto varie fasi con moltissimi martiri, per cui si può ritenere che il diacono Fausto fosse vittima nel primo periodo (303-305), mentre il prete Fausto fu martirizzato nel secondo periodo sotto Massimino Daia (311).

(Autore: Gian Domenico Gordini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Fausto di Alessandria, pregate per noi.

*San Filosofo di Vercelli - Vescovo (19 novembre)
Vercelli, VI secolo

Un antico calendario eusebiano, pubblicato in un volume del 1676, stabiliva la festa di San Filosofo vescovo di Vercelli, nell’omonima diocesi, al 19 novembre, culto oggi scomparso.
San Filosofo fu il diciannovesimo vescovo della diocesi di Vercelli, così come lo riporta il catalogo episcopale della città.
Per poter stabilire, sia pure approssimativamente, il periodo del suo episcopato, bisogna partire dal dato certo di San Flaviano, 14° vescovo morto nel 542, così come indicato dalla sua iscrizione
sepolcrale e calcolando una media di 10 anni per i successivi quattro vescovi, dei quali si ignorano i dati cronologici, si arriva a San Filosofo nell’arco di tempo dei due ultimi decenni del VI secolo; uno storico locale lo dice contemporaneo di San Gregorio Magno (535-604).
A causa delle devastazioni subite dalla basilica cattedrale e dall’annesso archivio, da parte degli Ungari nell’899, e poi da Arduino di Ivrea (955-1015) che l’incendiò, tutta la storica documentazione andò distrutta, per cui le poche notizie conosciute sui primi 40 vescovi, si possono desumere da qualche iscrizione sepolcrale e da qualche libro liturgico locale.
Anche di San Filosofo non si conoscono notizie sulla sua vita e sui meriti, né contemporanee né posteriori, tuttavia è confermata la sua santità.
Nel 1145 il vescovo Ginulfo elevò a collegiata l’antichissima Pieve di San Lorenzo, sul monte presso il borgo di Gattinara e poiché in essa da tempo immemorabile erano conservate le sacre spoglie di San Flaviano, alcuni storici locali dedussero che tale provvedimento volesse onorane la memoria e rinnovarne il culto.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Filosofo di Vercelli, pregate per noi.

*San Giacinto Giordano Ansalone - Domenicano (19 novembre)

Giordano da Santo Stefano, al secolo Giacinto Ansalone (Santo Stefano Quisquina, 1º novembre 1598 – Nagasaki, 17 novembre 1634), è stato un religioso italiano.
Frate domenicano, dopo gli studi a Palermo e a Salamanca, predicò il Vangelo in Messico, nelle Filippine e in Giappone, dove fu martirizzato.
Con decreto vescovile del 19 novembre 2017, il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo metropolita d'Agrigento, ha dichiarato ufficialmente san Giacinto Giordano Ansalone patrono secondario della città di Santo Stefano Quisquina, assieme a santa Rosalia.
Biografia
La nascita e la vocazione
Nacque a Santo Stefano Quisquina il 1º novembre 1598 da Vincenzo e Lavinia Ansalone; nel battesimo ricevette il nome di Giacinto in omaggio a Giacinto Odrovaz, santo domenicano di Cracovia canonizzato quattro anni prima, come attesta l'atto di battesimo che si conserva nell'archivio della Chiesa Madre di Santo Stefano Quisquina.
La sua vocazione alla vita domenicana poté affermarsi sotto l'ombra del convento patrio il quale, nonostante fosse posto in un paese sperduto tra i monti, offriva un mezzo di istruzione. Rimasto orfano di entrambi i genitori, entrò nel convento di San Domenico di Santo Stefano e intorno al 1615 fu trasferito come novizio nel convento di Agrigento assumendo il nome di fra' Giordano da Santo Stefano.
Nel 1618 fu trasferito a Salamanca per affinare gli studi di greco e latino; qui espresse il desiderio di recarsi in missione nel lontano Oriente. Avendo ricevuto esito favorevole da parte dei suoi superiori, fu trasferito nel convento di Trujillo, in Castiglia, luogo per la formazione e preparazione dei missionari.
Fonte battesimale della Chiesa Madre di Santo Stefano Quisquina dove il 1º novembre 1598 venne battezzato Giacinto.
Il viaggio verso le Filippine
Prima di arrivare nelle Filippine l'imbarcazione fece sosta in Messico; qui fra' Giordano si diede allo studio e alla preghiera. Tradusse in lingua latina la storna dei santi domenicani, edita in lingua spagnola da padre Ferdinando Castillo. Un giorno un suo confratello gli chiese se non avesse paura di andare in quelle terre lontane e inospitali e se avesse la tentazione di ritornare in Europa; lui gli rispose scherzando col proprio nome con una frase della Bibbia: "il Giordano è tornato indietro, ma Giordano non torna indietro”. Ripreso il viaggio e giunto a Manila, capitale delle Filippine, fu subito assegnato all'assistenza degli infermi nell'ospedale.
Missione in Giappone
Nel 1632 i superiori delle missioni delle Filippine decisero di inviare altri missionari in Giappone in sostituzione dei domenicani martirizzati e fra' Giordano ricevette l'ordine di partire e di raggiungere padre Tommaso di San Giacinto, domenicano indigeno. La persecuzione del 1624 aveva decimato i cristiani e quelli che vi erano sopravvissuti non avevano visto la faccia di un missionario da otto anni. I due missionari organizzarono un programma: padre Tommaso sarebbe rimasto a Nagasaki, sede della missione, e fra' Giordano avrebbe perlustrato le diverse regioni per visitare e confortare i cristiani. Per le fatiche dei viaggi continui, le privazioni di ogni genere, le pene, le preoccupazioni del suo ministero cadde gravemente malato e fu costretto a ritornare a Nagasaki. Devotissimo della Beata Vergine Maria, si rivolse a lei affinché potesse guarire e ritornare al suo lavoro e chiedendo anche la grazia di morire martire. Così in cinque giorni fu perfettamente guarito.
Verso la via del martirio
Il governatore di quelle isole diede ordine ai suoi collaboratori di arrestare un religioso agostiniano segnalato in quelle regioni, così a tal proposito fece organizzare una perquisizione nella regione di Nagasaki dove si trovavano i due missionari. Avendone ricevuta la notizia, i due missionari si preoccuparono di salvaguardare i loro cristiani e decisero di uscire in segreto dalla città e di rifugiarsi in una casa nei dintorni di Nagasaki. I collaboratori del governatore, che cercavano il frate agostiniano, entrarono proprio nella casa dove si erano rifugiati i due missionari domenicani, i quali furono scoperti. Furono dunque legati alla giapponese con una catena e condotti a Nagasaki. Interrogato più volte e non rinunciando mai alla sua fede in Cristo, fra' Giordano e padre Tommaso furono condannati a essere torturati e a morire per Cristo.
Il martirio e la fine
Non avendo rinunciato alla fede, furono sottoposti a bere cento caraffe di acqua, e così gonfi li fecero porre tra due tavole e pressati fortemente da tutte le parti del corpo ne schizzava acqua mescolata con sangue. Dopo tre mesi di duro carcere, nel novembre del 1634, insieme a tanti altri cristiani, fra' Giordano fu sottoposto ad altre torture. Acuminate cannucce furono conficcate tra i polpastrelli e le unghia delle dita fino a penetrare a metà delle stesse dita, ad un tale tormento avrebbero dovuto morire di dolore invece egli esclama: "quanti belli garofani fiorite dalle mie dita e quante rose vermiglie, che cos'è dunque il sangue che spargiamo a confronto di quello o Gesù che tu hai sparso per noi”. Il tiranno inferocito, dal fatto che quel tormento non avesse effetto, ordinò ai carnefici di percuotere le dita dei martiri e che raspassero, così con le cannucce nelle dita, la dura pietra e la terra e non avendo neppure questo fatto effetto il tiranno fece tormentare le loro carni e le parti più delicate del pudore ma neppure questo turbò i loro volti.
Così il tiranno li condannò a morte crudele. Giorno 11 novembre fra' Giordano, accompagnato dal suo fedele compagno padre Tommaso e dal altri sedici cristiani condannati tutti a morire per la fede di Cristo, furono estratti dalla prigione e condotti al supplizio finale preparato su una collina distante un chilometro dalla città. Fatti smontare da cavallo, furono legati ai piedi alle forche e sospesi con la testa in giù e con tutta violenza scaraventati in fosse preparate allo scopo. Ai loro lombi stretti da forte cinture furono appesi grossi e pesanti massi e così sospesi furono lasciati a morire lentamente. Con altri metodi veloci furono martirizzai gli altri cristiani. Fra' Giordano e padre Tommaso restarono sette giorni in quel supplizio privi di cibo e di bevande. Il 17 novembre del 1634, dopo sette giorni, il primo a morire fu fra Tommaso e dopo poche ore a conseguire la palma del martirio fu il santo martire siciliano fra' Giordano.
Culto
Il primo a diffondere notizie su san Giacinto Giordano Ansalone ai suoi concittadini fu l'arciprete di Santo Stefano, mons. Luigi Abella, il quale, in occasione delle festività natalizie del 1963, pubblicò un opuscolo sul martire stefanese a quei tempi ancora sconosciuto ai suoi concittadini. In seguito anche alle ricerche del professor Calogero Messina, si sono scoperti l'atto di battesimo e alcune lettere autografe del santo. Grazie a uno scambio di lettere tra l'arciprete mons. Luigi Abella e il parroco di Sérignan, il reverendo Estournet, che zelava la devozione a Guglielmo La Courtet, martire dello stesso gruppo a cui appartenne Giordano Ansalone, il 17 novembre 1967, assieme a una delegazione francese don Estournet si recò a Santo Stefano Quisquina per offrire il quadro di Giordano Ansalone agli stefanesi. Il quadro, dipinto dal pittore protestante Andrè Ribes, rappresenta il santo al centro e tutto intorno, come se fossero delle stazioni della Via Crucis, le scene del martirio sostenuto dal santo. L'immagine avrebbe così aiutato il popolo di Santo Stefano a pregare con più intensità per la beatificazione del martire.
La beatificazione e la canonizzazione
Il 18 febbraio 1981 papa Giovanni Paolo II beatifica nel grande "Luneta Park" di Manila Giordano Ansalone e compagni martiri, unico italiano di 16 cristiani imprigionati nell'agosto del 1634; la beatificazione giunge a conclusione di un lungo processo canonico più volte iniziato e interrotto nel corso dei secoli.
Il 18 ottobre 1987 lo stesso papa innalza agli onori degli altari i sedici nuovi santi; la solenne cerimonia svoltasi in piazza San Pietro vede presente una delegazione della diocesi di Agrigento guidata del vescovo mons. Luigi Bommarito e del paese natale del santo. Presente anche alla cerimonia Cecilia Alegria Policarpo, una filippina di sei anni che fu miracolata dai gruppo dei sedici martiri di Nagasaki. A Santo Stefano Quisquina per quella occasione furono organizzate festività varie e solenni in onore del nuovo santo, inoltre la chiesa madre del paese fu elevata a santuario diocesano di San Giacinto Giordano Ansalone.
Il Santuario di San Giacinto Giordano Ansalone
A Raffadali sorge la prima parrocchia al mondo dedicata a San Giacinto Giordano Ansalone.
Festa di san Giacinto Giordano Ansalone
La festa liturgica di San Giordano viene celebrata il 19 novembre. Dal 2013 la festa esterna viene celebrata la prima domenica di Agosto con una solenne festa e la processione del santo per le vie del suo paese per dare opportunità agli emigrati stefanesi di partecipare ai festeggiamenti.

*Beato Giacomo Benfatti di Mantova - Vescovo (19 novembre)

Mantova - Mantova, 19 novembre 1338
Giacomo Benfatti nacque a Mantova intorno alla metà del secolo XIII. Entrato nell’Ordine domenicano, seppe coniugare una solida formazione teologica con un’intensa vita spirituale. Priore del convento cittadino, fu chiamato da Nicolò Boccasini, generale dell’Ordine - in seguito papa con il nome di Benedetto XI - come suo consigliere.
Nel 1304 divenne vescovo di Mantova. Vero pastore, promosse la fede cattolica, svolse una appassionata opera di pacificazione tra le famiglie cittadine e si prese cura, con grande senso di carità, dei poveri e dei sofferenti.
Morì a Mantova il 19 novembre 1332. Le sue spoglie sono venerate nel santuario della Beata Vergine Incoronata, annesso alla Cattedrale di Mantova.

Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Mantova, beato Giacomo Benfatti, vescovo, dell’Ordine dei Predicatori, che, dopo aver riportato la pace in città, soccorse il popolo colpito dalla peste e dalla fame.
La difficile successione di Papa Bonifacio VIII, il grande e tempestoso Pontefice del tempo di Dante, toccò al mite cardinale Niccolò Boccasino, eletto nel 1303 col nome di Benedetto XI.
Pontificò soltanto per pochi mesi, e forse per questo Dante non ebbe parole di rimprovero per il nuovo Pontefice, sotto il quale sfumò la speranza degli esuli Bianchi, tra i quali era anche Dante, di rientrare a Firenze con le armi, approfittando della scomunica lanciata contro i loro avversari, i Guelfi Neri.
Dopo Benedetto XI, il francese Clemente V lasciò la derelitta sposa di Cristo in balia del Re Filippo il Bello, e non si mosse da Avignone, dando inizio alla tristemente famosa " servitù di Babilonia ". Dante lo definì " pastor senza legge ", condannandolo tra i simoniaci.
Niccolò Boccasino era stato frate domenicano, ed era Maestro Generale dell'Ordine quando fu eletto Cardinale e, poco dopo, Papa.
Egli amò circondarsi di domenicani, e anche il Cardinale Niccolò da Prato, inviato come paciere a Firenze nel 1304, era un domenicano.
Domenicano era stato anche il consigliere intimo del Cardinal Boccasino, Giacomo Benfatti, o Benefatti, oggi venerato come Beato.
Egli era mantovano, uscito da una nobile famiglia, e all'anima devota unì la tempra dello studioso, addottorandosi maestro di Teologia all'Università di Parigi.
Non per favoritismo, ma per doveroso omaggio ai suoi meriti, soprattutto spirituali, Benedetto XI, nel suo breve pontificato, prese la saggia iniziativa di consacrare il proprio consigliere e amico Vescovo della città di Mantova.
Fu una scelta più che felice, anche se il Papa non ebbe il tempo di veder confermata la bontà dei suo giudizio.
Con la sua alta statura morale, la sua saggezza, la sua conoscenza degli uomini, il Vescovo Benfatti avrebbe potuto vantare un non comune ascendente diplomatico e anche politico, del quale però non volle approfittare.
Si tenne anzi, deliberatamente al di fuori delle più spinose questioni del tempo, e soprattutto delle accanite contese che allora dividevano le maggiori città italiane, e che si potevano ricondurre, in sostanza, al contrasto tra vecchia nobiltà e nuova borghesia. Tra le varie parti, Giacomo Benfatti preferì quella dei poveri, il cui unico colore era la miseria, e l'unica bandiera il bisogno.
E i poveri di Mantova, non per modo di dire, chiamarono il Vescovo loro padre.
Le cronache del tempo parlano anche, naturalmente, della sua attività ufficiale, come la presenza all'incoronazione di Enrico VII a Milano e la partecipazione al Concilio di Vienne, nel Delfinato.
Ma la sostanza del suo episcopato, durato ventott'anni, fu soprattutto nella carità, che gli valse l'affetto del popolo da vivo, e il culto dopo la morte, intorno alle reliquie conservate nella bella cattedrale della città dei Gonzaga, ovile del Beato Giacomo Vescovo.
L'Ordine Domenicano lo ricorda il 19 novembre.

(Fonte: Archivio Parrocchia)
Giaculatoria - Beato Giacomo Benfatti di Mantova, pregate per noi.

*San Massimo - Martire (19 novembre)

Martirologio Romano:
A Cesarea in Cappadocia, nell’odierna Turchia, San Massimo, corepiscopo e Martire.

Giaculatoria - San Massimo, pregate per noi.

*Santa Matilde di Hackeborn (o di Helfta) - Monaca (19 novembre)
Sec. XIII

Nasce attorno al 1240 nel castello di Helfta, in Sassonia, da una delle più delle più nobili e potenti famiglie della Turingia, i von Hackeborn.
La sorella maggiore, Gertrude, è badessa nel convento di Helfta. All'età di sette anni Matilde viene accolta come educanda nel monastero benedettino di Rodardsdorf.
Qui la sua vocazione cresce e la giovane decide di indossare il velo. Nel 1258 raggiunge la sorella maggiore a Helfta dove, tre anni più tardi, le viene affidata la cura di una giovane monaca che resterà nella storia con il nome di Santa Gertrude la Grande.
Proprio a quest'ultima Matilde confesserà le proprie visioni mistiche. Da queste confidenze nascerà poi uno dei libri più noti della mistica medievale: il Libro della grazia speciale.
Matilde, particolarmente dotata nel canto, cura e dirige il coro del monastero e per questa sua qualità sembra che lo stesso Dante si sia ispirato a lei per la figura di Matelda nel Purgatorio. Muore nel monastero di Helfta nel 1298. (Avvenire)

Etimologia: Matilde = forte in guerra, dal tedesco

Martirologio Romano: Nel monastero di Helfta nella Sassonia in Germania, Santa Mectilde, vergine, che fu donna di squisita dottrina e umiltà, illuminata dal dono divino della contemplazione mistica.
Nome

Essendo il nome della monaca di Helfta in tedesco Mechthild o, latinizzato Mechtildis, la prima edizione italiana delle sue visioni reca il nome di Mettilde (1588) e l'ultima (1939) Metilde. Comunemente nelle lingue italiana, spagnola e francese prevalse la forma Matelda (Dante), Mathilde, Matilda.
Vita
Nata nel 1241 dai nobili di Hackeborn Matilde, una delle sorelle minori di Gertrude di Hackeborn, fece con la madre una visita al monastero di Rodersdorf, diocesi di Halberstadt, dove Gertrude era già monaca. La bimba settenne fu tanto attratta dal sacro ambiente che non volle allontanarsene e chiese di esservi ammessa; le fu consentito.
Dal 1251 fino al 1292 Gertrude fu badessa della comunità, che si trasferì nel 1258 a Helfta presso Eisleben. Gertrude, premurosa della formazione monastica, letteraria e spirituale delle sue figlie, ebbe nella sua capacissima sorella Matilde un grande e saggio aiuto. Matilde si distinse per la profonda umiltà, per l'innocenza e l'amabilità tanto da divenire per le consorelle e per altra gente consigliera ricercata. I Domenicani del convento di Halle avevano allora la direzione spirituale del monastero e tra loro, specialmente, il padre lettore fra Enrico di Halle, morto prima del 1294.
Per le sue doti intellettuali e artistiche, Matilde ebbe la direzione della scuola del monastero e fu nominata «cantora». La sua bella voce e il fervore nel canto le meritarono il nome di «usignuolo di Cristo». La lode di Dio era per lei l'occupazione primaria della sua Vita e l'espressione più profonda ed alta della sua  esistenza. Nella recita e nel canto del divino ufficio tutta la sua anima religiosamente vibrava.
Le parole fluivano dolci dalle sue labbra e spesso, durante l'ufficiatura, veniva rapita in estasi. Tutto il suo raccoglimento, la sua pietà e la sua devozione convergevano verso la liturgia, donde
essa ricavava ampi lumi di contemplazione e ardente amore divino. Con diligente cura custodiva i suoi sensi infliggendosi dure penitenze e con coraggio mortificava il suo delicato corpo per compensare generosamente, dinanzi alla maestà divina, il male commesso dai peccatori.
Nonostante l'applicazione all'esercizio di tutte le virtù e nonostante i favori ricevuti dal Signore, che la portavano alle alte vette della contemplazione e della perfezione, essa si accusava talvolta di pigrizia e di tristezza.
Soffriva di atroci mal di testa, che negli ultimi anni (dal 1290 e più ancora dal 1295) si aggravarono, unitamente ad altre infermità, sottoponendola a un vero martirio.
Ricevette l'Estrema Unzione il 18 ottobre1299 e morì «offrendo il suo cuore al Salvatore e immergendolo in quello di lui» il 19 novembre 1299.

Scritti
Gli scritti di proprio pugno di Matilde sono soltanto alcune lettere ad una matrona. Dal 1291 in poi i racconti occasionali sulle sue esperienze spirituali furono raccolti da due consorelle, per ordine della badessa Sofia di Querfurt 1292-1303). Una di queste religiose era Gertrude (non la sorella della santa, ma una discepola di Matilde a Helfta, e anch'ella futura santa).
Quando Matilde seppe che alcune sue discepole avevano assiduamente notato tutto quello che da lei avevano appreso sui favori e sugli insegnamenti ricevuti da Dio, rimase confusa e inconsolabile; ma il Signore le assicurò che molte grazie sarebbero state elargite a quanti avessero letto quelle pagine. Allora Matilde si applicò con molta cura a rivedere il manoscritto.
Lo stile di Matilde rivela una fantasia pura, feconda, capace di nobilitare ogni cosa. Anche nei fatti ordinari e negli eventi d'ogni giorno Matilde sa trovare riferimenti al «Diletto della sua anima». Lo scritto che tratta principalmente delle sue esperienze mistiche, Liber specialis gratiae, contiene, in cinque libri, la descrizione delle visioni e delle grazie ottenute durante la contemplazione.
In esso sono riportati anche alcuni colloqui con il Salvatore, molte considerazioni stimolanti all'amore e alla dedizione totale a lui e squarci escatologici. Il domenicano Teodorico d'Apolda stimò grandemente il Liber specialis gratiae e lo approvò.
Ordinate secondo il ciclo dell'anno liturgico, le esposizioni matildiane rispecchiano uno spirito trinitario e cristocentrico. Un rilievo particolare meritano le preghiere e le pratiche della devozione al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore purissimo di Maria.
Il Liber specialis gratiae, redatto probabilmente in latino, documenta l'alto grado di cultura letteraria e teologica delle monache di Helfta. L'autografo di Helfta non è conservato; sulla tradizione del testo latino e di quello olandese medievale ha trattato minuziosamente R. Bromberg.

Spiritualità
La spiritualità matildiana presenta in una fusione ardente e fantasiosa elementi di molteplice origine: elementi provenienti dalla regola benedettina, elementi domenicani per l'influsso dei direttori spirituali e altri, tratti dalle letture bernardine e francescane. Sopra questi vari elementi domina, come una novità nella storia della spiritualità, la «mistica di sposa» che prima di Matilde non si trova nei documenti del passato, ma che si ritroverà in seguito nelle esperienze e nelle Vitae di sante religiose fino a Santa Teresa, anzi fino ai giorni nostri.
Dio ricolmò Matilde, già negli anni più teneri, di grazie segnalatissime. La familiare e fiduciosa conversazione con il Signore tuttavia non fu mai interrotta. Matilde sperimentò anche stati di desolazione che le parvero simili a pene dell'inferno.
Soltanto in occasione di un'atroce sofferenza al capo che l'afflisse verso i cinquant'anni, essa parlò delle sue esperienze spirituali.
Accanto all'alta contemplazione Matilde fu tentata da molteplici distrazioni e da altre debolezze. Per liberarsene ricorse a Maria S.ma mentre nei patimenti fisici, essa fu consolata dal Signore. Il solo pensiero che nella solitudine dei patimenti essa poteva darsi più tranquillamente alla preghiera era per lei un sollievo. Il suo spirito si concentrò tutto sulla lode e sull'amore di Dio: l'abbandono alla volontà di Dio è - secondo la parola di Cristo a lei diretta - la condizione per l'ineffabile letizia che riempie l'anima quando essa diventa una con Dio.
Matilde paragona questa unione - come altri mistici all'assorbimento di una goccia d'acqua in un barile di vino. Nell'attiva e sentita celebrazione dell'Ufficio divino e nell'assistenza al sacrificio eucaristico, Matilde si esibiva nel canto della laus Dei.
Le visioni di Matilde si riferiscono alla S.ma Trinità, alla persona del Salvatore, alla beata Vergine Madre Maria, agli angeli e ai santi: fra questi ad Alberto Magno e a Tommaso d'Aquino, alle anime beate e del purgatorio e a quelle dannate.
Di solito quando un'immagine sorgeva in lei, essa la guardava attentamente e ne ricavava una verità o una dottrina; nei casi invece di visioni intellettuali, le mancò la possibilità di esprimersi. Una meravigliosa dolcezza legata ai misteri descritti - dunque oggettiva - riempie senza turbamenti il mondo spirituale matildiano.
Nelle preghiere di petizione Matilde abbracciava - con un largo cuore - i bisogni del mondo visibile e invisibile, riunendo insieme ecclesiastici e reggitori di stato, popoli e singoli, peccatori, carcerati e anime del purgatorio. Spesso applicava l'aggettivo «augusto» a Cristo o a Maria o alle cose celesti, segno chiaro che l'idea dell'impero terreno nel suo spirito si congiungeva, viva e amorosa, con l'ordine ecclesiastico, religioso e spirituale.
Un ruolo particolare spetta a Matilde nella storia del culto al Sacro Cuore. Infatti, non solo era devotissima al Sacro Cuore, dal quale otteneva speciali grazie (donde il titolo Liber specialis gratiae), ma lei stessa divenne lo strumento provvidenziale che attrasse s. Gertrude e le altre consorelle alla devozione al Sacro Cuore.
CosI tale devozione per merito di Matilde e Gertrude si manifesta per la prima volta in piena luce sul finire del sec. XIII, per avere una nuova fioritura, nel sec. XVI. I temi del Cuore di Gesti, dei suoi dolori, delle sue piaghe, della sua pena di morte e della trafittura trovarono il loro pieno coronamento nel concetto del Cuore del Salvatore glorioso, che siede alla destra del Padre, mediatore universale presso la S.ma Trinità.
Questi pensieri dalla liturgia monastica fluivano nella spiritualità matildiana e il Sacro Cuore concretizza per Matilde la formula liturgica Per Dominum nostrum lesum Christum: dal Sacro
Cuore sgorga e prende moto la vita morale e mistica.
Nella storia mariana Matilde spicca per la devozione al cuore purissimo di Maria. San Pietro Canisio (m. nel 1597) possedeva un libriccino contenente preghiere matildiane al Sacro Cuore di Gesti. Martino da Cochem pubblicò nel 1668 un libro di preghiere delle ss. Gertrude e  Matilde con aggiunta un'istruzione sulla preghiera orale.
Il Brornberg mostra la ricchezza della spiritualità matildiana particolareggiando la presentazione in suggestivi paragrafi: cioè,
1) influssi, fonti e carattere; 2) devozione al S. Cuore; 3) devozione all'umanità di Cristo; 4) la mistica di sposa; 5) la devozione alla S.ma Trinità; 6) l'Eucaristia; 7) la devozione a Maria S.ma; 8) la dottrina delle virtù; 9) la santificazione; 10) il peccato e la confessione; 11) la devozione agli angeli.
Iconografia
Matilde è rappresentata per lo più nell'abito dell'ordine dei cistercensi e reca tra le mani un libro (probabilmente la sua opera: Buch besonderer Gnade) come nella paia di altare nella chiesa di Santa Gertrude di Mauterndorf (1750) e la statua nel convento di Engelszell (1759).

Culto
B
enché non sia stata mai canonizzata, Matilde è stata venerata come santa in vari monasteri osservanti la regola di San Benedetto. La sua festa è indicata nei martirologi il 16 febbraio e il 19 novembre.
(Autore: Angelo Walz - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santa Matilde di Hackeborn, pregate per noi.

*San Narsete (Nerses) I il Parto - Katholicos degli Armeni (19 novembre)
IV secolo

San Narses I il Grande fu un Catholicos armeno (o Patriarca) che visse nel IV secolo. Fu padre di un altro catholicos, San Sahak I.
Appartenente alla stirpe reale che aveva visto tra i suoi componenti San Gregorio Illuminatore, trascorse la sua gioventù a Cesarea dove sposò Sanducht, una principessa mamiconianea. Dopo la morte della moglie fu nominato cavaliere da Re Arshak II e, pochi anni più tardi, entrò nella gerarchia ecclesiastica. Fu eletto catholicos nel 353. Il suo patriarcato segnò una nuova era nella storia dell'Armenia.
Fino ad allora infatti la Chiesa era stata identificata con la famiglia reale e la nobiltà; Narses la portò a un più stretto contatto con le credenze e gli usi del popolo armeno. Durante il Concilio di Ashtishat (354) promulgò infatti numerose leggi riguardanti il matrimonio, i giorni di festa e il culto divino. Costruì inoltre scuole e ospedali, inviando monaci per tutto il paese a predicare il Vangelo a quella parte di popolazione più indigente.
Alcune di queste riforme, per il loro carattere "popolare", provocarono la reazione del Re che decise di esiliarlo a Edessa. Nonostante l'allontanamento forzato continuò ad intrattenere rapporti con il Regno armeno, tanto che si suppone abbia svolto il ruolo di ambasciatore a Costantinopoli per assicurare all'imperatore l'appoggio dello Stato Armeno nella guerra contro i Persiani. A seguito della salita al trono del nuovo Re, l'ariano Pap (369) Narses tornò al proprio trono patriarcale. A causa dei comportamenti del nuovo Re, considerati dal patriarca dissoluti e indegni, Narses proibì lui l'entrata in chiesa. Con il pretesto di una riconciliazione, nel 373, Pap invitò il patriarca al suo tavolo, avvelenandolo. Viene venerato come santo dalla Chiesa ortodossa armena e da quella cattolica, che lo venera il 19 novembre.
Discendente dalla fami­glia di San Gregorio Illuminatore e nipote di s. Iusik, Narsete nacque ca. l'a. 330 da Athanagines, figlio di Iusik e da Bambish, figlia del re armeno Tiran. Dopo avere ricevuto un'educazione corrispondente al suo stato principesco, frequentò le scuole elleniche di Cesarea. Sposato con la figlia del principe Vardan Mamikonian, Sahaktucht, ebbe un figlio che chiamò Sahak, il futuro grande Katholicos santo. Dopo tre anni, mortagli la moglie, Narsete ritornò in patria dove fu assunto dal re come suo camerlengo.
Nel 350 Arshak, figlio di Tiran, succedeva al padre sul trono del regno armeno, e cominciava a ristabilire l'ordine fra i principi, affidando a ciascuno il proprio ufficio ed il posto che gli competeva per successione; Tiran, infatti, aveva usurpato tutti i loro diritti. In questa occasione anche i principi chiesero al re di ristabilire alla sede katholicossale, com'era consuetudine, un discendente della famiglia di San Gregorio.
Il re acconsenti alla proposta e, d'accordo con i principi e con il popolo, scelse il camerlengo reale, il giovane Narsete che Fausto (Storia, IV, 3) descrive: «Di statura alta e di una bellezza eccezionale, ma nel medesimo tempo timoroso di Dio ed osservante dei precetti divini, sapiente e modesto, caritatevole e misericordioso, casto e sobrio nella vita coniugale, ed esemplare nel servizio militare». Saputo dell'acclamazione popolare e del beneplacito del re, Narsete rifiutò l'elezione e per convincerli, cominciò ad accusarsi di peccati che non aveva mai commesso. Il popolo, incredulo, si assunse tutta la responsabilità di quei peccati, mentre il re, per troncare la questione, prese la spada dalle sue mani e gli tagliò la chioma.
Quindi i vescovi armeni, su invito del re, si radunarono in un sinodo per eleggerlo canonicamente Katholicos dell'Armenia; poi lo inviarono a Cesarea per l'ordi­nazione sacerdotale e la consacrazione episcopale, accompagnato da otto principi e da una parata militare, come era consuetudine dai tempi di s. Gregorio.
Fausto afferma che a Cesarea Narsete fu consacrato dal metropolita Eusebio, e la data di tale consa­crazione, come risulta dall'analisi dei dati storici, sarebbe il 353. A quest'epoca, però, secondo la Series Episcoporum pubblicata dal Gams, il metro­polita di Cesarea era Dianeo (341-362); tuttavia in un documento armeno antico, che riporta la serie dei vescovi di Cesarea dall'inizio fino ai tempi di Elladio, troviamo notato per Eusebio: «Questi consacrò Nerses e rimase sulla sede per anni 19». Quindi essendo nota la data della morte di Eusebio (370), quella dell'inizio della sua carriera, secondo il documento, dovrebbe essere l'anno 352; tutto ciò, unito ad altri dati, confermerebbe come data di consacrazione di Narsete l'anno 353.
Dopo il ritorno alla sua sede episcopale, Narsete convocò un sinodo i cui Atti non ci sono pervenuti, ma di cui Fausto ha conservato un riassunto: Narsete ordinò la costruzione di ospedali e di ospizi per i lebbrosi e per tutti i poveri della città che dovevano essere ricoverati in questi luoghi e mantenuti dalla carità dei fedeli; vietò sotto severe pene l'usanza superstiziosa di piangere i
morti secondo i riti pagani; decretò leggi per regolare il matrimonio cristiano e la vita coniugale; inflisse pene contro tutti i vizi e i delitti.
Esortò inoltre il re, i principi e tutti coloro che esercitavano l'autorità, ad essere miti verso i propri sudditi, e a non gravarli di tasse eccessive. Ai sudditi ordinò di rendere perfetta obbedienza e fedeltà alle autorità. Infine istituì in diversi luoghi scuole di lingua greca e siriaca, per l'educazione della gioventù ed in particolare degli ecclesiastici.
Fausto loda l'ordine e la prosperità della Chiesa armena ai tempi di Narsete e scrive: «Ai suoi tempi le chiese godevano della pace e tutti i vescovi erano circondati di rispetto in tutta l'Armenia; le chiese erano colme di pompa e di magnificenza; il clero aumentava di numero, ed egli costruiva in tutto il paese nuove chiese e monasteri per i monaci.
Egli stesso liberò molti dalla schiavitù; aiutava le vedove e gli orfani, ed ogni giorno ospitava molti poveri alla sua tavola. Benché avesse istituito ospizi per i poveri e gli indigenti, accettava nel suo palazzo chiunque venisse a chiedere aiuto, ed egli stesso li lavava, li ungeva e distribuiva loro il cibo» (Storia, IV, 4). Con l'istituzione degli ospizi e dei lebbrosari iniziò nell'Armenia quell'opera sociale che doveva continuare nei secoli seguenti a cura della Chiesa armena.
Tutti i fedeli erano invitati ad aiutare queste opere; anzi, furono ema­nati anche canoni penali, che infliggevano come pena l'aiuto in denaro o in lavoro a questi ospizi. L'organizzazione fondata da Narsete è quindi una delle prime del genere che s'incontrano nella storia.
Come capo della Chiesa armena, aveva anche compiti nella vita civile e politica del regno; infatti a lui era affidato il tribunale. Il re stesso lo mandò alla corte di Bisanzio per trattare con l'imperatore. La sua prima missione fu, nel 354, presso l'imperatore Costanzo II, con il quale stipulò un trattato di alleanza. Ritornò in patria riportando con sé i due nipoti del re Arshak, trattenuti presso l'imperatore come ostaggi, e la figlia di un prefetto dei pretoriani, Olimpia, come moglie per il re.
Ma la collaborazione tra Narsete e Arshak non durò a lungo, poiché quest'ultimo seguiva nella vita privata e sociale soltanto i propri interessi, non dando ascolto alle ammonizioni del vescovo. Il motivo fondamentale e decisivo della rottura tra i due fu l'uccisione di Gnel, nipote dello stesso re, avvenuta nel 359. Narsete esortò il sovrano a desistere dal suo delitto, ma questi, non solo non ritirò l'ordine dell'uccisione, ma prese anche la moglie della vittima.
Il vescovo allora lo scomunicò, riti­randosi dal suo ufficio. Arshak elesse al suo posto Ciunak invitando i vescovi armeni a consacrarlo, ma, ad eccezione di due, nessuno accettò l'invito. Ciunak, che non ebbe alcuna giurisdizione eccle­siastica e si accontentò di accompagnare il re, non fu preso in considerazione dai vescovi armeni i quali affidarono l'ufficio di Narsete a Iussik che rap­presentò la Chiesa armena nel sinodo di Antiochia (364), come si legge tra i firmatari della lettera sinodale indirizzata all'imperatore Gioviano (cf. Socrate, Hist. Eccl., III, 25).
Il ritiro di Narsete nei suoi possedimenti ad Ashtishat durò per tutto il periodo del regno di Arshak, ma quando questi fu fatto prigioniero dal re sassanide Shapuh, su invito dei principi armeni, che resistevano all'invasione persiana, verso il 367 accettò di nuovo l'incarico. Tornò allora a Costantinopoli per stringere amicizia coll'imperatore Valentiniano I (364-375) e far incoronare il figlio di Arshak, Pap, re d'Armenia.
L'imperatore accettò la proposta impegnandosi ad aiutare il nuovo re. Tornato in patria dopo il felice esito della missione, portò anche aiuti militari e potè assistere alla battaglia di Zirav in cui gli armeni riportarono la vittoria ed il re Pap potè stabilirsi sul suo trono.
Riprendendo il suo ufficio Narsete si dedicò intera­mente alla cura pastorale del popolo. Partecipò anche ai sinodi provinciali di Cesarea: nel 372 troviamo infatti il suo nome, con quello di altri due vescovi armeni, nella lettera del sinodo di Cesarea, al quale presiedette s. Basilio (Basilio, Ep. 92).
Ma anche il re Pap, come suo padre, non voleva ascoltare le ammonizioni di Narsete, anzi, risen­tito dei suoi rimproveri, lo fece avvelenare durante una festa, alla quale lo aveva invitato col pretesto di voler riappacificarsi. Il santo vescovo mori, nel 373, dopo essere ritornato al suo palazzo, circondato dai suoi amici e dai suoi discepoli.
Gli storiografi moderni non concordano circa l'uccisione da parte del re armeno, mentre il con­temporaneo Fausto lo asserisce apertamente, né vi sono motivi seri per negarlo. Non sono invece accettati l'esilio di Narsete da parte dell'imperatore Valentiniano, con il quale avrebbe avuto una discussione teologica circa l'arianesimo, e la sua parteci­pazione al concilio di Costantinopoli nel 381, in quanto la sua morte è fissata al 373.
Narsete fu sepolto a Thil, nella chiesa del villaggio di Erzerum, ove erano già stati sepolti tutti i suoi santi antenati e la tomba fu meta di pellegrinaggio fino all'invasione araba (sec. VII). In questo periodo la chiesa fu distrutta e non ci si curò più della tomba del Santo fino al sec. XIII. Nel 1272, in seguito ad una visione, furono trovate le sue reliquie e il vescovo della diocesi, Sarkis, ordinò di costruire sul posto una chiesa a lui dedicata.
Questa chiesa fu anche, da allora in poi, la cattedrale della sede vescovile. La Chiesa armena celebra la festa di Narsete nella settimana della quarta domenica dopo Pentecoste.

(Autore: Paolo Ananian - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Narsete (Nerses) I, pregate per noi.

*Sante Quaranta Donne Martiri di Eraclea con Annone - Diacono, Vergini e Vedove (19 novembre)
† Eraclea (Tracia), 312 ca.
Nella città di Eraclea, in Tracia, subirono il martirio in odio alla fede cristiana ben 40 sante donne, vergini e vedove, che la tradizione orientale è solita raffigurare in un’unica grande icona sinattica. Il Martyrologium Romanum ricorda questo gruppo di martiri in data odierna.
Martirologio Romano: A Marmara Ereglisi in Tracia, nell’odierna Turchia, sante quaranta donne, vergini e vedove, martiri.
Nonostante che il racconto dei loro tormenti e del loro martirio, abbia tutti i segni della leggenda e dell’agiografia fantastica, sembra non ci siano dubbi sulla loro esistenza e sulla loro testimonianza di fede.
Le quaranta donne sono ricordate dal calendario gotico, che le commemora il 19 novembre come martiri a Berea vicino Eraclea; lo stesso gruppo nei sinassari e menologi greci, viene ricordato però il 1° settembre.
Il Martirologio Geronimiano le ricorda sempre il 19 novembre, ponendo il martirio delle 40 donne e vedove ad Heraclea (Tracia); su ciò si basa l’ipotesi di Niceforo Callisto, che considera queste donne, come le mogli dei 40 martiri di Sebaste (9 marzo), ma ciò non è possibile documentarlo.
Il racconto del loro martirio è stato riportato sin dal primo ‘Martirologio Romano’ e dal Sinassario orientale di Costantinopoli, e la loro vicenda è stata ritenuta degna di fede da tutte le antiche fonti, come il ‘Menologio’ di Basilio Porfirogenito.
La ‘Passio’ riporta come capo del numeroso gruppo di donne, il diacono Ammone, maestro e promotore della loro conversione al Cristianesimo.
Al tempo dell’imperatore Costantino (280-337), era associato nella guida dell’Impero in Oriente Licinio Valerio Liciniano (250-325) e la persecuzione contro i cristiani, cessata definitivamente con l’editto di Milano del 313 e firmato dai due imperatori, era ancora sporadicamente in atto; Licinio mandò come funzionario a Berea il suo messo Baudo, il quale appena giunto, ricevé una denunzia contro Celsina priora e le quaranta vergini e vedove riunite con lei in comunità monastica.
Celsina dopo un interrogatorio in cui finse di assoggettarsi ai voleri del funzionario pagano, si ritirò in preghiera, esortata a perseverare dal diacono Ammone loro guida spirituale.
Durante il secondo interrogatorio e presente tutta la comunità delle monache, gli idoli si sbriciolarono e il sacerdote di Zeus, fu sollevato in aria da angeli di fuoco e mentre Annone e le 40 donne cristiane si ritiravano, egli precipitò sfracellandosi al suolo.
Baudo infuriato, fece arroventare un elmo di bronzo e lo fece porre sul capo di Ammone, appeso alle macchine per la tortura; ma l’elmo volò via finendo sulla testa dello stesso Baudo, che fu prodigiosamente sollevato in aria, finché non chiese perdono ai martiri; poi se ne liberò inviando tutto il gruppo a Licinio in Eraclea, dove le vergini venerarono le reliquie di Santa Gliceria martire, poi patrona della città.
L’imperatore ordinò che venissero gettate tutte in pasto alle belve, ma gli animali non vollero toccarle e allora Licinio fece uccidere il diacono Ammone, le vergini capeggiate da Celsina e le vedove capeggiate dalla diaconessa Lorenza, massacrandoli a gruppi con raccapriccianti supplizi, pratica che si industriavano ad inventare i potenti e prepotenti di allora e che omettiamo di descrivere, per non fare una galleria degli orrori.
La data del martirio, tenuto conto degli anni di governo degli imperatori Costantino e Licinio e dell’editto del 313, che metteva fine alla persecuzione, si può ritenere che sia avvenuto nel 312 o primi giorni del 313 stesso.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Beato Raimondo du Puy - 2° Gran Maestro dell'Ordine di Malta (19 novembre)
1083 – 1160

Figlio di Hughes du Puy, Signore de Pereins, d'Apifer e di Rochefort, già Governatore d'Acri e Generale al servizio di Goffredo di Buglione, egli era imparentato con Adhemar di Le Puy, legato papale nel corso della Prima Crociata.
Successore del Beato Gerardo nel 1120, come secondo Gran Maestro dell'Ordine di Malta egli sviluppò l'Ordine secondo crismi di potenza militare.
Egli prescrisse la croce puntata di Amalfi come simbolo ufficiale dell'Ordine, la quale divenne in seguito nota con il nome di Croce di Malta dopo che l'ordine stabilì la propria sede a Malta.
Raymond divise l'ordine in fratelli religiosi, militari e affiliati e fondò la prima infermeria degli Ospitalieri presso la Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Egli fu presente alla Presa di Ascalona nel 1153.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Bato Raimondo du Puy, pregate per noi.

*Santi Severino, Essuperio e Feliciano - Martiri (19 novembre)

Martirologio Romano: Nel villaggio di Braine-sur-la-Vesle vicino a Vienne in Francia, santi Severino, Esuperio e Feliciano, martiri.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Severino, Essuperio e Feliciano, pregate per noi.

*San Simone - Abate in Calabria (19 novembre)

Martirologio Romano: Sul massiccio del Mercurio in Calabria, San Simone, eremita.
Santo calabrese venerato in Oriente.
Da un abate di un non precisato monastero della Calabria, venne mandato in Africa per ottenere la liberazione di alcuni monaci, catturati dagli Arabi e portati in Africa.
Da uno degli ostaggi, Simone seppe che a tutti i costi si voleva far loro rinnegare la fede cristiana; al loro rifiuto, i Saraceni volevano percuoterli, ma improvvisamente il loro braccio si paralizzò. Impietosito, il Santo li guarì ottenendo, in seguito a questo miracolo, dal capo degli Arabi, la liberazione di tutti i monaci.
Ritornato in Calabria, Simone condusse vita eremitica.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Simone, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (19 novembre)
*
Beati Dionigi e Redento - Martiri Carmelitani
*San Raffaele Kalinowski - Carmelitano
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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